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Nel 1868 non c’erano serbatoi d’acciaio né laboratori.
C’era solo la terra, il sole e la volontà di creare qualcosa che durasse nel tempo, come le promesse fatte sottovoce, e mantenute col cuore.
Fu allora che nacque il primo vino della nostra famiglia.
Un vino rustico, pieno, a volte imperfetto.
Ma vero, come le mani che lo avevano raccolto e pigiato.
Mio trisavolo lo chiamava “il frutto del rispetto”, perché tutto cominciava non dalla cantina, ma dalla vigna.
“Il vino non si costruisce,” diceva, “si accompagna.”
Dal torchio di legno al cuore in acciaio
Nei primi anni, la trasformazione era un rito semplice e faticoso.
Si pigiava l’uva con i piedi, tra canti e sudore. Le botti di legno respiravano piano nei depositi di tufo, e il vino imparava il tempo.
Poi arrivarono gli anni ‘50, e con essi le prime attrezzature. Mio nonno, che aveva ereditato i filari come un figlio erediterebbe un nome, accolse il progresso senza mai dimenticare il passato.
La pigiatura divenne più dolce, più controllata. Le fermentazioni più stabili. Ma ogni cambiamento fu fatto non per comodità, bensì per curare meglio ciò che la vigna offriva.
Il rispetto non è cambiato. È diventato più preciso.
Oggi, nelle nostre cantine, ci sono termometri digitali e tini in acciaio inox.
Controlliamo la temperatura con precisione, gestiamo i lieviti con attenzione.
Ma lo spirito è lo stesso del 1868.
Usiamo la tecnologia come una lente, non come una scorciatoia.
Ci aiuta a non sprecare il buono della natura, a proteggere la qualità senza mai forzarla.
La cura manuale è ancora la regola: potatura, vendemmia a mano, selezione dei grappoli pianta per pianta.
Perché lo facciamo?
Perché non produciamo vino. Manteniamo una promessa.
Una promessa fatta più di 150 anni fa, da un uomo con le mani sporche di terra e gli occhi pieni di futuro.
Una promessa che diceva:
“Finché ci sarà una vite in questa terra, noi la onoreremo con rispetto.”
Ed è per questo che lo diciamo sempre, anche oggi, con orgoglio:
Il vino si fa in vigna.
E noi, da quattro generazioni, continuiamo a camminare tra i filari con lo stesso passo di allora.
Perché il vino, il nostro vino, non nasce da una macchina, ma da un gesto.
E ogni gesto, per noi, è sacro.